SESTO DAVID PER BIGAZZI

Un nuovo David di Donatello per LUCA BIGAZZI.

Luca Bigazzi ci parla del suo ultimo lavoro con Paolo SorrentinoThis must be the place‘ con cui ha vinto per la sesta volta il più ambito premio del cinema italiano.

Un viaggio attraverso personaggi ironici e strampalati che sembrano usciti da “Alice in wonderland” di Tim Burton. Uno Sean Penn con le fattezze di Robert Smith (leader dei The Cure che nel suddetto film ha collaborato alla colonna sonora). Musiche di David Byrne (ex cantante dei Talkin Heads che insieme ai Cure cantava la canzone “This must be the place” e che nel film interpreta un cameo nella parte di se stesso). Ambientazioni fredde, immobili e irlandesi che, come in un road movie,  si trasformano lentamente nei panorami caldi e sconfinati del Michigan e del New Mexico. Questi gli ingredienti principali, abilmente miscelati nella sua ultima opera da Paolo Sorrentino. «Ero incuriosito dalle biografie dei criminali nazisti che per anagrafe dovrebbero fare una vita da tranquilli pensionati e invece sono costretti a vivere nascosti». Un film piacevole, pieno di metafore e originale: “sorrentiniano” verrebbe da dire. Un film la cui importante colonna sonora viene sapientemente equilibrata dalla fotografia sempre naturale e mai banale di Luca Bigazzi.

L’atmosfera fotografica del film: cosa ti ha ispirato?
L’atmosfera fotografica di TMBTP nasce come in ogni film da una moltitudine di fattori. La sceneggiatura, ovviamente. Ma anche i sopralluoghi, insieme ai ricordi di vecchi e lunghi viaggi negli States ed in Irlanda. Nel caso però di TMBTP ricordo con divertimento che ancora prima di farmi leggere la sceneggiatura Paolo mi ha consegnato un misterioso cd di musiche. Era l’embrione del film, e quelle musiche, in parte, sono entrate poi nel film finito. Sono tante le suggestioni che lavorano dentro di noi quando cerchiamo di rendere i desideri dei registi in immagini: la musica, ma anche la letteratura, il viaggio, i ricordi.

Una produzione complessa. Molte location e in diversi Paesi. Come hai sviluppato il progetto fotografico?
Il film é stato girato per tre settimane in Irlanda, a Dublino, e per le restanti 7 negli USA, Michigan, New Mexico e New York. Alla fine possiamo dire che quasi due settimane sono state dedicate al viaggio… In tutto questo ho avuto la fortuna di poter portare con me i miei principali collaboratori: Salvatore Bognanni assistente operatore, Sandro Saulini capo elettricista e Patrizio Marra capo macchinista. Questa é stata una grande fortuna ed un grande aiuto da parte della produzione Indigofilm, senza di loro non saremmo mai riusciti ad andare così veloci in un film così complesso. L’integrazione con la troupe americana poi é stata meravigliosa, siamo usciti tutti , noi e loro, arricchiti ed entusiasti del nuovo rapporto. Ancora oggi ci sentiamo spesso con gli amici “americani”.

Le scelte tecniche: qualche corpo illuminante particolare, MdP, obiettivi, pellicola, particolari supporti per MdP…
Ogni film di Paolo Sorrentino é una sfida continua alle leggi tradizionali della cinematografia, con Paolo ogni movimento di macchina prevede non solo l’utilizzo di normali mezzi tecnici ma anche l’invenzione continua di nuovi supporti ed ogni genere di acrobatiche posizioni per l’operatore di macchina. Abbiamo usato di tutto, dai dolly al technocrane, dai carrelli ai binari sospesi, dagli scafandri subacquei agli effetti speciali digitali per la neve. Ho potuto portare dall’Italia le mie solite macchine da presa, le mie solite lenti della Technovision, ed anche questo é stato un grande aiuto. Addirittura il laboratorio Technicolor ha mandato per due mesi a New York il mio fidato colorist, Andrea Orsini. Cosa chiedere di piu’? Potevo solo essere io a sbagliare… Avevo ogni luce a mia disposizione, ed io che in genere non uso molte luci, ero molto imbarazzato nel dire, come sempre, “mi basta una lampadina”. Gli americani mi guardavano con sospetto, agli inizi…

L’intervento in post-produzione. Che hai fatto?
Il lavoro di post produzione é stato come sempre appassionante ed elaborato. Con Andrea Orsini abbiamo passato ben tre settimane al digital intermediate. Abbiamo lentamente aumentato Il chroma durante la parte americana, abbiamo tenuto il contrasto piuttosto alto per tutta la color correction. Poi con Rodolfo Migliari, il supervisor degli effetti speciali di Chromatica, abbiamo molto lavorato sulla neve artificiale della scena prefinale ed in alcuni casi abbiamo lavorato anche su delle velocizzazioni di scena.

Paolo Sorrentino: come è andata?
Con Paolo Sorrentino siamo ormai al quarto film, e dire che ci capiamo al volo é banale. Paolo é un regista che ti pone continuamente di fronte a delle sfide apparentemente impossibili, ed é per questo che lavorare con lui è appassionante e sempre nuovo. Poi, elemento determinante del rapporto con Paolo é la velocità. Insieme siamo velocissimi, siamo tutti e due convinti che troppo pensare, troppo temere, sia un grave freno alla creatività. Fra noi é diventata una sfida a chi va più veloce!

Sean Penn: come è andata?
Sean Penn é terrificante, primo perché é un grandissimo attore, poi perché è anche un ottimo regista, lavorare con lui é stata una grande esperienza ed una grande scuola. Sean sa perfettamente quello che succede sul set ma non ha mai avuto un atteggiamento giudicante. É stato estremamente rispettoso del ruolo di tutti ed io sono convinto che si sia anche molto divertito a collaborare con quei “crazy italians” alle prese con movimenti di macchina impossibili. Mi ricordo che mi prendeva in giro spesso perché continuamente mi aggiravo sul set dicendo “pronti!”. Anche per loro andavamo troppo veloci…

Quale scena ricordi con particolare affetto/effetto fotografico?
Se penso ad una scena del film che ricordo con grande preoccupazione prima e con soddisfazione dopo, non posso non pensare al piano sequenza del concerto di David Byrne. Era una scena particolarmente complessa, il movimento della pedana che passava sopra la testa dei musicisti poneva dei problemi apparentemente insolubili. Volevamo che la pedana vivesse di luce propria ed abbiamo nascosto dei led luminosi sul pavimento, contemporaneamente non volevamo che le luci dei musicisti influissero sulla pedana nel momento in cui si incrociavano e con dei sagomatori molto precisi abbiamo ovviato alle interferenze delle luci. Nel nostro piano di lavorazione poi, quella sequenza era prevista in mezza giornata! Che stress.

Tu sei DoP e Camera Operator dei tuoi film: vantaggi e svantaggi su questo film e in generale.
Io sono sempre stato anche operatore di macchina di me stesso, perché penso che la questione fotografica sia un complesso di interazioni fra luce e inquadratura strettissimo, e mi riuscirebbe molto difficile pensare di delegare a qualcun altro una relazione così delicata. Se io penso alla gestione del mio tempo sul set, credo che per l’80 per cento della giornata sono operatore di macchina e per il restante 20 direttore della fotografia. Sono convinto anche che il rapporto che si crea fra gli attori e l’operatore di macchina sia uno degli aspetti più interessanti del set e non sono in grado di rinunciarci per nessuna ragione!

Vai al cinema a vedere il film. Esci e pensi: …
Io mi auguro che gli spettatori di TMBTP si rendano conto che il cinema italiano é non solo vitale ma estremamente vario e complesso, pieno di autori capaci e soprattutto originali. Io sono convinto che oggi in Italia si faccia il miglior cinema europeo, con una passione e una capacita’ di sopperire alle ristrettezze di budget che non ha paragoni. Di questo sono fiero e di questo ringrazio tutti i miei collaboratori senza i quali non saremmo qui a parlare.

a cura di Matteo Scaranello

‘This must be the place’ – original trailer - from SHOT – training on set on Vimeo.