L’uomo che verrà

1944. Martina è una bambina di otto anni rimasta muta da quando, tempo addietro, ha assistito alla morte di un fratellino. Insieme alla famiglia vive alle pendici di Monte Sole, dove le giornate trascorrono lente adombrate dalla faida tra i partigiani e le SS.
Quando Lena, la madre di Martina, rimane nuovamente incinta, la bambina sembra ritrovare l’ormai perduta gioia di vivere. Purtroppo, una sfortunata coincidenza vuole che il piccolo nasca proprio a Settembre, alla vigilia di quella che sarà la tremenda strage di Marzabotto.

Girare un film storico come “L’uomo che verrà” in digitale poteva essere un rischio: immagini composte di pixel sarebbero riuscite a dare il giusto rilievo alla rappresentazione dell’eccidio di Monte Sole? Si è trattato dell’ennesimo guanto di sfida che l’alta definizione ha lanciato al regno della celluloide.
Al che, un’altra domanda sorge spontanea: si potrebbe ipotizzare che anche in Italia le produzioni abbiano iniziato a guardare al digitale come ad un nuovo standard piuttosto che a considerarlo solo come un’alternativa a buon mercato? La risposta è appannaggio di pochi.
Quello che è certo, è che i cinematographer più lungimiranti, dopo aver superato le diffidenze iniziali, hanno continuato a spremere le moderne cinecamere fino ad ottenere risultati stupefacenti. Roberto Cimatti n’è la chiara testimonianza.
Classe 1954, Cimatti è cresciuto sotto l’egida di grandi maestri come Lanci, Petriccione, Gelsini e Pesci facendosi le ossa nel reparto fotografia di film come “Regalo di Natale” (Pupi Avati), “Il portaborse” (Daniele Luchetti) e “Aprile” (Nanni Moretti). Già con “Il vento fa il suo giro”, esordio alla regia di Giorgio Diritti, aveva dimostrato oltre quali limiti poteva spingersi una semplice Panasonic AG-DVX100: la videocamera prosumer, MiniDV, più venduta fino a quel momento catturò delle immagini che avrebbero fatto impallidire il più smaliziato dei filmaker. Oggi porta la Panasonic, il modello HJ-HPX3000, ad un nuovo livello di eccellenza con “L’uomo che verrà”.
«Prima di girare il film ho voluto realizzare diversi test su diversi supporti. Durante queste prove, ho confrontato la Panasonic con la Red One, che a quei tempi era una novità assoluta, e mi sono convito a adoperare la prima. In seguito ho proposto a Giorgio di girare in un formato anamorfico, che avrebbe reso le già stupende scenografie naturali ancora più ampie. Prendendo questa decisione ci siamo assunti dei rischi poiché ipotizzare di girare in un formato cinemascope attraverso una camera che ha un sensore di 2/3 di pollice (target di ripresa vicino al 16mm) è una bella sfida.» ci ha spiegato Cimatti durante un’intervista. «Ma l’idea era intrigante ed alla fine ci ha dato degli ottimi risultati.»
Sul sito del direttore della fotografia è presente un’intera sessione dedicata esclusivamente alle specifiche tecniche dell’ultimo film di Diritti. Dando una sbirciatina fra questi appunti è possibile apprendere anche quali siano stati i riferimenti artistici che hanno ispirato le sue scelte. L’omaggio più evidente è forse quello al pittore impressionista Jacob Camille Pissaro. Come quest’ultimo, Cimatti sembra aver lasciato che i paesaggi si esprimessero liberamente davanti alla telecamera, proprio come fa un artista che dipinge en plein air. «La pittura mi ha sempre appassionato. Quando ero piccolo, mio padre mi portava spesso alle mostre e alle gallerie d’arte, quindi ho sempre avuto questo interesse per i dipinti. Prima di iniziare le riprese de “L’uomo che verrà” ho fatto una ricerca sugli artisti che dipingevano paesaggi agresti ed ho trovato diversi spunti. Mi sono documentato soprattutto sugli impressionisti francesi.»
Il film, sebbene sia imperniato su una forte componente naturalistica, dovuta anche alla spontaneità dei molti attori non professionisti, si dimostra estremamente accurato nella messa in scena. È doveroso far menzione di almeno due bei piani sequenza: quello di apertura nel quale, attraverso una soggettiva, seguiamo lo sguardo della piccola protagonista, che durante la notte cerca la stanza della madre, e quello, sempre all’interno della casa, in cui Armando avvisa i parenti dell’arrivo dei tedeschi, molto preciso nel carpire anche le interpretazioni dei singoli attori.
Notevole è anche il livello di dettaglio raggiunto negli scenari innevati. I quadri riescono a mantenere un’ottima profondità di campo anche quando sono avvolti dalla nebbia più fitta.
Altro riferimento di cui tenere conto sono le foto d’epoca delle campagne Toscane. A queste Roberto Cimatti sembra essersi ispirato per ricreare le atmosfere della vita contadina.

Pasquale Russo

Nella foto Martina interpretata da Greta Zuccheri Montanari

sito di Roberto Cimatti