CAMERA OPERATOR: formato e composizione.

A noi che facciamo corsi di ripresa cinematografica, ci piace definirlo come lo spettatore ‘zero’. Il camera operator non è solo colui che fisicamente realizza le riprese, ma è in assoluto il primo – è l’unico – che sul set sta veramente guardando l’inquadratura. Il voyeur dei voyeur. E in virtù di questa patologia professionale, che potremmo definire un’ipertensione dello sguardo, ha una primitiva ed essenziale visione dell’inquadratura, priva, cioè, di contributi emotivi-affettivi.
Per paradosso, dipinge senza essere il pittore. Per questo la sua preparazione professionale è fortemente caratterizzata da un istinto eidetico. Vedere non è il risultato solo del senso ‘vista’, ma di un insieme di sensazioni. La percezione visiva è il risultato di un processo psicofisico perché vedere è un’esperienza multisensoriale. Camera operator professionisti di alto livello hanno una misura dello sguardo e dell’osservazione che nemmeno i registi hanno. ‘Inquadrano’ e compongono il quadro con lucidità e percezione meccanica fortemente stilizzata.
La composizione del quadro, infatti, è guidata dalla meccanica dell’attenzione. Comporre il quadro significa distribuire all’interno di uno spazio ben definito – il formato* – tutti gli elementi che concorrono alla percezione, ricorrendo ad una struttura ricorsiva, in grado, cioè, di organizzare l’immagine nella sua interezza e parti della stessa.
Quali sono questi elementi? Lo spazio, la forma, la luce, il colore.
Organizzare tali elementi all’interno di un formato piuttosto che in un altro, determina significativamente il risultato percettivo.
Due esempi: ‘Il settimo sigillo’ di I. Bergman e ‘C’era una volta il west’ di S. Leone.
Due film lontani chilometri e chilometri di pellicola… forse…
Ma proviamo a immaginare il primo, girato in 1,37 : 1, con il formato del secondo, 2,35 : 1. E, di contro, immaginiamo il film di Sergio Leone con il formato del film di Bergman. Fatto?… Beh, tutto un altro film.
Un dramma eterno, come quello della sfida dell’uomo contro il suo destino, già da sé compromette la visione; chiusa, concentrata, claustrofobica. Non c’è scampo. Ecco che un formato ‘quadrato’ come l’ 1,37 : 1 è propriamente già un segno visivo che non  è solo forma ma anche contenuto, testo.
Il west è di per sé, invece, sinonimo di spazi sconfinati, di paesaggi che si perdono all’orizzonte. Il dramma non è solo nell’uomo, ma si riversa sulle cose che lo circondano. Il ‘cinemascope’ di Sergio Leone non è esclusivamente enunciazione, ma anche enunciato.

Saper inquadrare, insomma, non è solo tecnica e tecnologia (determinate altezze di MdP, determinati movimenti di MdP, determinate macchine da presa, determinate testate) ma anche sensibilità, visione. Percezione. Questo, secondo noi, è un Camera Operator. Luigi Andrei, secondo noi, è il Camera Operator.

Alessandro B.

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*per formato intendiamo il rapporto d’aspetto, ossia la proporzione che esiste fra la base e l’altezza del frame. Il rapporto d’aspetto 1,37 : 1 (leggasi uno trentasette a uno) ci informa che la base del frame è 1,37 volte più grande dell’altezza. A partire dagli anni ’50 del secolo scorso, per incrementare il business, le majors hollywoodiane decisero di costruire sale cinematografiche sempre più capienti (anche fino a 5000 posti). Di conseguenza la distanza fra proiettore e schermo aumentò sempre di più. Per cui era necessario proiettare un’immagine più grande.  L’immagine diventò ‘scope’. Primo fra tutti il formato cinemascope. ‘The robe’ di H. Koster fu il primo film della storia del cinema realizzato in cinemascope, con un rapporto d’aspetto dell’immagine proiettata in anamorphic version di 2,55 : 1.